Ecco come scegliere il tipo di pasta giusto

fusilliNasce la carta per la corretta degustazione della pasta. Per sapere quale sia miglior sugo da abbinare agli spaghetti o il formato più adatto ai crostacei, il pastificio Di Martino ha ideato il metodo grazie al quale si abbina il giusto formato di pasta al condimento che si è realizzato. Questo perché cucinare un piatto di pasta potrebbe sembrare un’impresa alla portata di tutti eppure non è così. Parola di Giuseppe Di Martino, che con l’omonimo pastificio di famiglia è portavoce della pasta IGP di Gragnano nel Mondo. Con l’apertura di Di Martino Air, il primo Pasta store all’aeroporto di Napoli si è presentata l’occasione di condividere una vera e propria guida all’abbinamento della pasta il cui nome esatto è “Schema semplificato dell’uso corretto dei formati di pasta di Gragnano Igp Di Martino (Per non Gragnanesi)”.

pasta giusta

Una tabella di semplice lettura, con legenda bilingue italiano e inglese con tanto di intensità al palato, condimento (se burro o olio) e indicazione sull’abbinamento (verdure, pesce, carni, crostacei, legumi, formaggi e frutti di mare) nata per guidare italiani e stranieri alla creazione dell’abbinamento formato-ricetta ideale. Un’intera parete dello store all’aeroporto internazionale di Napoli è dedicata all’infografica e la tabella è acquistabile ad un costo contenuto (10 euro) nel formato poster da appendere in cucina.

«Il pastificio Di Martino produce circa 250 formati di pasta – ha dichiarato Giuseppe Di Martino – e sembra incredibile, ma ad ogni formato corrisponde un abbinamento ideale. Il matrimonio perfetto è garantito dal rispetto di alcune regole fondamentali semplificate in: trafila della pasta, intensità al palato, capacità di contenere i sughi, condimento e abbinamento prescelti. A seconda che il formato di pasta sia rigato, liscio, bucato, spesso o sottile, l’esperienza gustativa è differente ed è necessario comportarsi in maniera adeguata. È per questo che a Gragnano rischia l’arresto chi abbina le vongole con le penne rigate! Da qui l’idea di una carta per la degustazione “per non Gragnanesi” per creare il piatto di pasta perfetto».

L’ironica crociata per diffondere la cultura della pasta di Gragnano prosegue anche sui social ed è possibile diffonderla indossando magliette e grembiuli con l’hashtag #cosepazz che raccontano in maniera ironica gli “usi impropri” della pasta. Un esempio? Nel mondo ogni 5 minuti un formato di pasta finisce nella ricetta sbagliata: #cosepazz #pastadimartino

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Vino, cibo, territorio, a Montepulciano tutto è nella tradizione

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Quando parli di Montepulciano, quello toscano in provincia di Siena, ti stupisci a scoprire quanto sia conosciuto anche fuori dai confini della regione. A renderlo famoso sono soprattutto quel piacevole sentirsi a casa che si respira in ogni angolo, il cibo ancora genuino, quello che ti aspetti di trovare quando vai in Toscana senza rimanere deluso dall’eccesso di “internazionalizzazione” che trovi in altre aree blasonate. Il borgo poliziano e i suoi dintorni valgono bene un fine settimana all’insegna del buon cibo, del buon vino, con tanta cultura, da Pienza a Monticchiello alla stessa Montepulciano, e un pizzico di relax alle terme di Chianciano.

Per dormire La terrazza di Montepulciano in via Pieve di Sasso con le sue sole 10 camere è senza dubbio un luogo tranquillo. Il costo della doppia è di 90 euro compresi la prima colazione e il parcheggio, che in centro a Montepulciano non è optional di poco conto.

La colazione, se la stagione lo permette, viene servita in terrazza.

Un momento del Bravìo delle Botti

Un momento del Bravìo delle Botti

Montepulciano va bene in ogni stagione, ma se la scelta cade su fine agosto si può assistere al Bravìo delle Botti, una gara dove due “spingitori” per rione si contendono la vittoria del Palio facendo rotolare botti da vino, ovviamente vuote, per le ripide strade del paese. In occasione del Bravìo la festa prevede anche la cena nelle varie contrade. Con non più di 20 euro (menù completo) si possono assaggiare i piatti della tradizione toscana, qualche volta rivisitati in chiave moderna, in abbinamento ad un Vino Nobile. L’iniziativa si chiama “A tavola con il Nobile” ed è una vera gara tra le massaie con tanto di giuria e di vincitrice finale. Per chi invece, desidera il ristorante, l’Osteria del Conte offre una vera cucina toscana. I pici fatti a mano conditi all’aglione, 7,5 euro, grigliatina di maiale 8,5 euro, o una ottima bistecca alla fiorentina, 3,5 euro l’etto, e in entrambi i casi come contorno fagioli all’olio, 3,5 euro. Per bere un bicchiere di Vino Nobile Contucci, 4 euro, o se si è in due a cui piace il vino, la bottiglia costa 16 euro. Insomma, se si prende la bistecca si arriva a 37 euro a testa, con la grigliata ci si ferma a 28 euro.

Vigna e Montepulciano

Vigna e Montepulciano

Per una cena più raffinata e a lume di candela nelle suggestive vie del borgo medievale, Le Logge del Vignola, rappresentano una proposta di tutto rispetto. Il loro menù degustazione da 49 euro prevede aperitivo e piccola entrata di benvenuto, il tradizionale pâté di fegatini di pollo, in cassetta al caffè con “pera picciola” del monte Amiata e salsa di vino cotto, seguiti da risotto Carnaroli “Maremma” all’erborinato di pecora e rognoni con riduzione di Vino Nobile, quindi quaglietta al tartufo su cous cous all’ananas e pepe “Sichuan” e per chiudere semifreddo ai pistacchi con salsa alla liquirizia, e caffè. In abbinamento (16 euro), un calice di vendemmia tardiva, uno di bianco, e un calice di vino Nobile di Montepulciano. Insomma 65 euro a testa, tasse e coperto inclusi, per una serata da non dimenticare.

Vigna a Montepulciano dove nasce il vino Nobile

Vigna a Montepulciano dove nasce il vino Nobile

Se poi si ama il vino e si vogliono scoprire aziende particolari, Talosa e Salcheto l’emblema di chi ha scelto la qualità, il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità come filosofia produttiva. Talosa è stata la prima azienda ad aver intrapreso il percorso della qualità, Salcheto è la prima cantina completamente carbon free.

Nei due giorni non può certo mancare una visita a Pienza, borgo incantevole a pochi chilometri da Montepulciano, città ideale voluta da Enea Silvio Piccolomini, diventato papa Pio II, e realizzata dall’architetto Bernardo Rossellino. E neppure a Monticchiello, dove ogni anno va in scena l’autodramma ideato scritto e realizzato dalla gente del paese. Sulla strada per Pienza si trova il caseificio Cugusi. L’azienda, che utilizza latte di propria produzione, compie 50 anni e il caseificio, gestito oggi da Silvana e Giovanna, ha avuto numerosi riconoscimenti. Vera delizia per il palato sono il Pecorino di Pienza fresco, 14,5 al kg e il Gran riserva, 21 al kg.terrme chianciano spa

E se mangiare è un piacere, anche il corpo, e con lui la mente, chiede di essere accontentato. Le Terme di Chianciano hanno un Salone Sensoriale che in 3 ore e mezzo e 20 tipologie di trattamenti diversi ti fanno ritrovare forza e energia con 45 euro i festivi e 38 euro gli altri giorni.

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Valeria nuova zarina del Chianti

Ha ricevuto la passione per il vino dal padre, produttore in Russia di distillati, e l’amore per la campagna dalla nonna

 

 

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Dalla Russia alla zona del Chianti Classico. Valeria Zavadnikova, trentenne, originaria di Vladivostoc, laurea in legge a Londra, ha deciso di mettersi a produrre vino in Toscana. E ha acquistato a Radda in Chianti (Si) la Fatttoria di Montemaggio, che dopo l’editore fiorentino Bonelli e proprietari di varie nazionalità mondiali, approda così in mani russe. Fisico da modella, capelli lunghi raccolti a coda, Valeria Zavadnikova ha ricevuto la passione per il vino dal padre, produttore in Russia di distillati, e l’amore per la campagna dalla nonna che ha sempre coltivato un piccolo orto. Adesso vive con il marito in questa piccola fattoria circondata dai boschi e dove non è difficile imbattersi in cinghiali e daini. L’incontro con la zarina del Chianti è l’occasione per conoscere le nuove annate e dopo che l’azienda ha effettuato anche un restyling dell’immagine. L’etichetta raffigurae una giovane donna etrusca con un cesto di uva sulla spalla. Questa idea è stata proposta con un quadro a olio da Andrey Remnev, noto e quotato pittore russo, da cui Marina Zimoglyad, la moglie designer, ha preso ispirazione per la realizzazione grafica del logo e dell’etichetta. Non è casuale che la comunicazione metta in risalto la figura femminile, infatti sono due giovani donne a guidare la fattoria. Oltre alla Zavadnikova, a guidare Montemaggio c’è anche Ilaria Anichini, agronomo e direttore dell’azienda.

Valeria Zavadnikova

Valeria Zavadnikova

Il toponimo deriva da Monte Maggiore riferito alla posizione elevata della località, circa 600 metri sul livello del mare. La posizione e il microclima fanno sì che Montemaggio possa offrire una vasta gamma di prodotti, Chianti Classico, Riserva, Igt (Merlot), Igt (Merlot e Sangiovese), Rosé di Sangiovese, Chardonnay, Grappa, Grappa Riserva e infine l’olio extra vergine di oliva.

La fattoria si estende su una superficie di 70 ettari ed è costituita da vigneti, oliveti e boschi. I vigneti occupano una superficie di circa 9 ettari. La maggior parte sono di Sangiovese, oltre a piccole porzioni di Merlot, Pugnitello, Chardonnay, Malvasia Nera e Ciliegiolo non ancora tutti in produzione. Nel 2014 ha presentato un nuovo vino, il Pugnitello Montemaggio 2012. Da uve Pugnitello, varietà recentemente riscoperta, chiamata così per il grappolo a forma di pugno, il vino appena nato ha una bella struttura e una notevole concentrazione con una spiccata nota di frutti rossi. È stato in legno 19 mesi. La produzione è di 300 bottiglie e uscirà sul mercato il prossimo anno.

Particolarmente interessante è l’annata 2009 che ha le caratteristiche di un Chianti Classico dal gusto classico, non troppo impegnativo, ancora fresco. La filosofia di Montemaggio, fattoria che segue i dettami dell’agricoltura biologica (con certificazione dal 2009), è semplice, dar vita a prodotti di alta qualità, strettamente legati al territorio. «Siamo contenti di essere una piccola fattoria e di rimanere tale – sottolinea Valeria Zavadnikova- in modo da essere in grado di controllare ogni nostra pianta e quindi ogni nostra bottiglia, così da garantire ai nostri clienti un prodotto davvero unico e speciale».

Valeria Zavadnikova

Valeria Zavadnikova

L’orto. Vera passione della proprietaria, l’orto è una chicca che evidenzia l’amore vero per la terra e i suoi frutti in senso lato. L’orto è progettato in modo da conciliare le esigenze colturali con lo schema compositivo proprio di un giardino di cui vengono riproposti e rivisitati i principali elementi costitutivi. E’ suddiviso in aiuole rialzate disposte in modo simmetrico in cui stagionalmente viene pianificato uno schema di semina che associa alle tipiche specie da orto familiare, colture da fiore e alberi da frutto. La recinzione è schermata da alberi da frutto, in particolare susini, che in futuro verranno utilizzati nella produzione di un vino dolce da dessert.

 

la Fattoria Montemaggio

la Fattoria Montemaggio

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Rosso spagnolo alla corte toscana, il Tempranillo in riva d’Arno

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È un filo rosso intenso, carico di profumi e di potenza, quello che lega in maniera quasi inspiegabile la regione del Duero alla bassa valle dell’Arno. Tra l’immancabile Sangiovese, il Trebbiano o la Malvasia, è stato scoperto a San Miniato (Pi) meno di un ettaro di vigna di Tempranillo. Una piccola enclave iberica che ha trovato un particolare espressione nell’adattarsi al terreno minerale e salino dell’azienda Beconcini e al clima di una zona collinare dove è presente l’influenza del mare.

I vigneti della Pietro Beconcini Agricola

I vigneti della Pietro Beconcini Agricola

Ne vengono fuori due vini, Vigna alle Nicchie, 3mila bottiglie da piante che hanno almeno 90 anni, e iXe dove il vigneto è più giovane e coltivato secondo tecniche moderne. Interprete di questo vino straniero è Leonardo Beconcini, titolare dell’azienda Pietro Beconcini Agricola che guida insieme a Eva Bellagamba.

«Dopo aver condotto lunghi e accurati studi in collaborazione con l’Università Agraria di Milano e con l’Istituto Sperimentale di Selvicoltura di Arezzo, siamo riusciti ad accertare che qei misteriosi cloni presenti nei vigneti dell’azienda da sempre, erano cloni di Tempranillo», spiega Leonardo Beconcini. E qui si apre il “giallo” sul perché proprio a San Miniato la presenza di vitigni che arrivano da così lontano. « L’azienda – racconta – sorge a poche centinaia di metri da una zona archeologica di posta romana ed in prossimità di Ponte ad Elsa. Si presuppone dunque che il luogo fosse un transito da secoli e che sia stato utilizzato come una delle direttrici per Roma della Via Francigena». E proprio attraverso i pellegrini diretti a Roma potrebbe essere arrivato anche il Tempranillo. «L’ipotesi – continua Beconcini – è che proprio i fedeli possano aver portato semi di vite Tempranillo e abbiano diffuso questa pianta nelle v icinanze di San Miniato, seminandola appunto, come era usanza dell’epoca».

Eva Bellagamba e Leonardo Beconcini

Eva Bellagamba e Leonardo Beconcini

Beconcini, che produce 100mila bottiglie all’anno di vino tra cui Chianti e Malvasia oltre ad alcuni Igt, ha iniziato mettere in bottiglia anche il Tempranillo, circa 25mila bottiglie, dal 2004. Il processo di vinificazione prevede la raccolta delle uve a metà settembre, il Tempranillo è molto precoce, con i grappoli che vengono messi ad appassire in cassette per circa un mese in modo da disidratare gli acini e mantenerne l’acidità e le caratteristiche di mineralità. Il vino fa due anni di barrique nuova e viene messo in commercio dopo quattro anni dalla vendemmia.

Le uve Tempranillo ad appassire

Le uve Tempranillo ad appassire

La verticale. In dieci anni, Beconcini ha affinato tecniche di appassimento e di vinificazione. La panoramica della produzione, tutti vini dai 15 ai 16 gradi alcolici, è stata al centro di un evento «Il bianco ed il nero» una sorta di gara cromatica enogastronomica tra Tempranillo in verticale dal 2004 al 2011, e Tartufo bianco di San Miniato che si è tenuta al ristorante Papaveri e Papere di Paolo Fiaschi. Abbinamento a parte, il migliore è stato con i Tortelli di patate, tartufo, zafferano e fagiano, l’annata che maggiormente esprime la potenza del vitigno per profumi, complessità aromatica e struttura è il 2007, un vino da stappare subito, mentre il 2009 deve ancora passare un po’ di tempo in bottiglia. Grandi potenzialità mostra di averle il 2011, assaggiato come spillatura di botte, mentre le altre annate non hanno la stessa eleganza e complessità. Su tutti una forte nota di legno data dalla barrique nuova.

Il Tempranillo Vigna alle Nicchie viene venduto a circa 35 euro a bottiglia al pubblico.

 

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Nel Cilento tra miti ed eroi per i sogni di oggi

Parco del Cilento

 

Arrivare a Paestum non è impresa semplice. Prima la Salerno Reggio Calabria, poi, da Battipaglia la provinciale spesso intasata e piena di buche ti fa pensare che ad Eboli non ci si sia fermato soltanto Cristo. Ma quando si arriva a quella che è la porta naturale di ingresso al Cilento si fa pace con il mondo. Dichiarato patrimonio dell’Unesco, vivere il Cilento e il Parco del Cilento e del Vallo di Diano è immergersi in un’atmosfera quasi magica, fuori dal tempo. A iniziare da Paestum con i templi greci scoperti a inizi del Novecento proprio in qui terreni dove per secoli erano state lasciate pascolare le bufale.

E il percorso nel Cilento non può non iniziare da Paestum con la visita all’area archeologica e, perché no, ai numerosi caseifici. Come Barlotti che ha fatto della qualità una bandiera. La sua “aversana”, tipica pezzatura da mezzo chilo per la mozzarella e indubbiamente la migliore per poter apprezzare gusto, consistenza e profumi, si acquista a 15 euro al chilogrammo mentre i “cardinali” costano 16 euro al chilo. Oppure Rivabianca, cooperativa nata dall’iniziativa di alcuni agricoltori della Piana di Paestum, dove con il latte proveniente esclusivamente dalle stalle dei propri soci, produce anche un gelato pluripremiato e uno yogurt che ti lascia il palato stupefatto per cremosità e compattezza. Per dormire nella zona di Paestum da provare è l’agriturismo Corbella in località Viscigline a Cicerale (Sa). La pensione completa va da 45 a 65 euro al giorno per persona a seconda del periodo.

L’azienda produce anche i ceci e l’altro prodotto tipico di questa area, il fico bianco del Cilento. Se la mozzarella non è stata sufficiente a calmare l’appetito, vale la pena fare un salto al ristorante Brezza Marina a Laura di Paestum condotto da Dina e Ulderico Vignola. Assolutamente da provare sono “Spaghetti vongole e carciofi” e “Tagliatelle alla clorofilla di basilico con ragù di gambero rosso cilentano”. Il prezzo, con antipasto, primo, una bottiglia di Fiano Pian di Stio dell’azienda agricola San Salvatore, non supera i 40 euro. Sei ci addentra verso il Parco, secondo parco in Italia per dimensioni che si estende dalla costa tirrenica fino ai piedi dell’appennino campano-lucano, comprendendo le cime degli Alburni, del Cervati e del Gelbison, nonché i contrafforti costieri del Monte Bulgheria e del Monte Stella, si incontrano paesi come Castellabate, teatro del film Benvenuti al Sud, Pollica, Acciaroli, Pioppi.

Cala Bianca

Cala Bianca

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È qui, proprio a Pioppi, che lo scienziato americano Ancel Keys visse per oltre 40 anni ed è qui che studiò e teorizzò i benefici della Dieta Mediterranea. Per dormire a Pioppi, l’agriturismo Le Lesche è situato su una collina da dove si domina il mare del golfo di Palinuro e dove si dorme con 275-500 euro a settimana per due persone a seconda del periodo. A qualche chilometro di distanza, ad Acciaroli dove Ernst Hemingway compose “Il vecchio e il mare”, il ristorante “Il rosso e il mare” offre la possibilità di provare la tipica cucina cilentana. Gestito da Antonio Vassallo, figlio di Angelo sindaco di Pollica ucciso in un agguato di camorra, al ristorante si possono trovare le alici di Menaica, magre e delicate, dalla carne chiara tendente al rosa e dal profumo intenso e delicato, pescate da maggio a giugno con un’antica tecnica risalente alla Grecia classica. Oggi, tale tecnica sopravvive solo in alcuni paesini, Acciaroli e Pisciotta e prevede l’utilizzo di reti sottili, dette appunto Menaica, che lasciano sfuggire i pesci più piccoli. Proseguendo lungo la costa, la strada conduce lungo un percorso tra mitologia e storia della filosofia e dove il mare è incastonato tra piccole baie e porticcioli, insenature e spiaggette. Oltre a Pioppi, Ascea, Pisciotta, Palinuro e Marina di Camerota sono i nomi che con i resti delle colonie greche di Elea o Velia per i romani, patria del filosofo Parmenide, si legano ai ricordi classici. Tra questi il richiamo della ninfa Leucosia,le spiagge dove Palinuro lasciò Enea, la splendida Certosa di Padula con la vicina Pertosa e le Grotte dell’Angelo la cui origine risale a 35 milioni di anni fa. Oppure lo scoglio dove Ulisse venne attratto dal canto delle sirene.

Ma il Cilento è anche terra di tradizioni. A Casaletto Spartano, il 1 maggio giovani questuanti, vanno di casa in casa a chiedere legumi di ogni tipo che poi vengono cotti e mangiati in piazza, tutti insieme. Una usanza che si ritrova nella “cuccìa”, dal greco “kykeon” miscuglio a San Cristoforo, ma anche con piccole varianti a Cicerale dove si chiama “cecciata”, a Castel San Lorenzo e Stio a Pellare, Moio, Vallo della Lucania.

E nell’interno del Cilento, l’agriturismo La Civitella a Moio si è specializzato in prodotti tipici della zona, spesso unici, come la soppressata di Gioi, un salume ottenuto con le parti nobili del maiale e una parte grassa perfettamente al centro. Ma si trovano anche artigiani del gusto che vogliono valorizzare il loro territorio.

Pietro Macellaro

Pietro Macellaro

A Piaggine, Pietro Macellaro ha fatto dell’azienda agricola di famiglia, il luogo di produzione della materia prima per la propria pasticceria. Nascono così dolci unici e sorprendenti, abbinamenti insoliti che hanno per base marmellate di fico bianco, agrumi, melanzane o pomodori. Sono, invece, due le espressioni migliori per la produzione di olio extravergine di oliva del Cilento. Sole di Cajani, azienda biologica dove è possibile trovare anche il carciofo bianco di Pertosa e Torretta di Maria Provenza dove la cura dei particolari diventa quasi maniacale. Il risultato sono oli unici. Come unici, per gusto, sapore e tipicità sono i fagioli di Controne valorizzati dall’azienda agricola Tancredi.

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Brand non è una bufala, ma garanzia di qualità

Tenuta Vannulo ha puntato sul proprio marchio e sulla tecnologia. Allevamento al top, con le bufale che si mungono da sole. E tutto a filiera interna, dal foraggio alla produzione

Antonio Palmieri

Antonio Palmieri

Il brand come garanzia di qualità, il marchio Tenuta Vannulo come must per la mozzarella di bufala. Dal 1988 Antonio Palmieri, titolare del caseificio che prende il nome dalla località dove si estendono i 200 ettari dell’azienda agricola fondata all’inizio del secolo nel Comune di Paestum (Sa), ha deciso di investire sull’innovazione della filiera di produzione della mozzarella. Azienda biologica, tutto prodotto in “casa”, dai foraggi, al latte di bufala alla mozzarella per arrivare agli yogurt e al gelato, una trentina di dipendenti tutti italiani con età media attorno ai 30 anni. La tenuta è una sorta di fattoria-modello. La mungitura avviene attraverso un robot che, dalle lettura di un microchip, riconosce tutte e 450 le bufale, lava le mammelle e le munge in automatico.

Tenuta Vannulo spazzolamento

Tenuta Vannulo spazzolamento

Un metodo che consente di abbassare la carica batterica a 130 Ufc/mL quando la legge prevede che sia come minimo a 500Ufc/mL. Il robot, primo caso applicato a bufale, oltre a misurare la quantità prodotta da ciascun capo di bestiame, valuta anche la qualità del latte e la presenza di malattie come la mastite. Nella stalla il letame viene portato via da un sistema di acqua corrente e le bufale, che si grattano su speciali rulli, non vivono nel fango e dormono su materassini di gomma.

vannulo_bufale«Le bufale sono libere di gestirsi la loro giornata. Anche di scegliere quando mungersi», spiega il titolare Antonio Palmieri. «Ho dovuto abbattere molti luoghi comuni come il fatto che le bufale stavano solo nel fango, oppure la mozzarella non poteva essere fatta con solo latte di bufala, ma andava mischiato con quello di mucca. Ho imposto le mie idee e altre conto di realizzare. Come un sistema nuovo di bollitura del latte a bagnomaria per provocare forti shock termici. Io credo che si debba pensare di poter fare sempre meglio».

Oggi tra gli estimatori della mozzarella della tenuta Vannulo ci sono Carlo d’Inghilterra e Silvio Berlusconi, il cardinale Ratzinger prima di essere eletto Papa Benedetto XVI, e Luca Cordero di Montezemolo. Sono diventate un piccolo must dei prodotti di qualità visto anche che tutta la produzione viene venduta soltanto sul posto. Non è possibile trovarla al supermercato e neppure in alcun negozio.«È una scelta che ho fatto volutamente, come ho scelto di non far parte della Dop, ho puntato tutto sulla qualità. E’ “Vannulo” che dà la garanzia», continua Palmieri. Il Caseificio Vannulo lavora esclusivamente il latte prodotto dall’azienda e questo spiega la produzione limitata, basata sul ciclo naturale del latte. Il latte non viene pastorizzato prima della trasformazione poiché l’allevamento è sotto controllo sanitario e indenne da tubercolosi e brucellosi, mantenendo così inalterate tutte le sue proprietà.

Paestum

Paestum

 

Mozzarella di bufala

 

Il termine “mozzarella” deriva dal verbo “mozzare”, ovvero, l’operazione praticata ancora oggi in tutti i caseifici, che consiste nel maneggiare con le mani e con moto caratteristico il pezzo di cagliata filata e di staccare subito dopo con gli indici ed i pollici le singole mozzarelle nella loro forma più tipica: tondeggiante.

La Mozzarella di Bufala Campana DOP fa parte di quei formaggi freschi a pasta filata prodotta esclusivamente con latte di bufala proveniente dalla zona di origine

Il latte. Il latte di bufala, ha una composizione diversa da quella di altre specie animali utilizzate per la produzione di formaggio, rispetto a quello di vacca e pecora ad esempio, è più ricco di proteine, grassi e soprattutto calcio totale. Queste caratteristiche chimiche permettono a chi lo trasforma di ottenere delle rese di caseificazione pari al doppio di quelle che in genere si ottengono con il latte di mucca.

Rottura e maturazione della cagliata Dopo alcuni minuti che il latte è rappreso per l’intervento del caglio, si procede alla rottura degli stessi grumi caseosi con un attrezzo denominato “spino” che li riduce fino ad una grandezza di poco più di una noce.

Il saggio di filatura Una prova empirica, ma assolutamente attendibile nelle mani esperte di una mastro casaro, consiste nell’aggiungere acqua bollente a circa mezzo chilogrammo di cagliata sminuzzata che, amalgamata fino a farla fondere, viene tesa con le mani e un bastoncino di legno.

La filatura. La cagliata al giusto grado di maturazione viene posta su tavoli dove avviene lo spurgo di tutto il siero residuo, successivamente viene tagliata a listarelle e riposta in contenitori di legno, i “mastelli”, dove viene aggiunta acqua bollente. Il contatto tra acqua bollente e cagliata provoca la fusione della massa che viene di continuo sollevata e tirata fino ad ottenere un unico corpo omogeneo.

Dalle ciliegine alle trecce. Buona parte della produzione avviene a mano anche se si può ricorrere all’uso di macchine formatrici che producono pezzature a peso predeterminato. Una volta prodotta, la mozzarella viene da prima lasciata in vasche contenenti acqua fredda per garantire un primo importante rassodamento, che si completa in altre vasche contenenti anche soluzione saline che conferiscono al prodotto il giusto grado finale di sapidità.

Digeribilità. È un formaggio facilmente digeribile, con un ridotto contenuto di lattosio e di colesterolo, è un’ ottima fonte di proteine ad elevato valore biologico, a cui si accompagna un moderato apporto di grassi. Inoltre, il formaggio fornisce elevate quantità di Calcio e Fosforo, di vitamine idrosolubili quali la B1, B2, B6 e Niacina; è infine, una buona fonte anche di vitamina E e Zinco, sostanze che contribuiscono a contrastare l’azione negativa dei radicali liberi.

Nutrizione. Per chi è attento alla dieta, con circa 250 Kcal per ogni 100g di prodotto mangiato, la Mozzarella di Bufala Campana è molto più dietetica di molti altri derivati lattiero caseari. Consumare Mozzarella di Bufala Campana significa fornire energia per la crescita dei giovani e per il recupero degli sportivi.

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Gli italiani lo fanno meglio. Anche lo Champagne

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«Non ci siamo inventati niente, abbiamo avuto molto semplicemente una grande opportunità e abbiamo saputo cogliere l’attimo fuggente ed è stato fatto quello che era nelle nostre possibilità, per cercare di realizzare quello che per me era un sogno».

Nadia Nicoli insieme a Enrico Baldin, hanno dato vita alla Maison de champagne

Nadia Nicoli

Nadia Nicoli

Veuve Blanche Estelle, con la grande Cuvée Encry un marchio nato nel 2005 ma che in così pochi anni è riuscito a imporsi sui mercati, affermandosi nella prima guida italiana di sole bollicine francesi, tra i primi 200 Champagne. Questo grazie alla sapienza e la tradizione di un piccolo vigneron che da generazioni produce questo prezioso nettare. E’ stato un amore a prima vista, reciproco. Lui è un produttore che possiede 7 ettari di vigneti a Le Mesnil-sur-Oger, uno dei 17 Grands Crus della Champagne, in piena Côte de Blancs. Loro sono italiani, hanno passione per il vino e idee. Il vigneron è alla terza generazione di vignaioli e decide di mettere a disposizione degli italiani 2,8 ettari vitati del proprio vigneto. Il sogno di Nadia e Enrico prende forma.

Ma prima di riuscire ad andare sul mercato c’è stato da convincere ritrosia e burocrazia francesi. Che non hanno indugiato a mettere i bastoni tra le ruote ai due “nemici” italiani, per giunta uno dei due una donna. «Abbiamo dovuto superare diverse barriere », continua Nadia Nicoli, affascinante veneta con la passione per il vino. Il Civc (Comité interprofessionnel du vin de Champagne) ha fatto davvero di tutto per demotivarci, per ostacolarci. Loro devono difendere il loro vino dalle contraffazioni, devono tutelarlo, ma hanno letteralmente posto mille paletti, mille ostacoli possibili per tentare di farci perdere l’entusiasmo che avevamo».

Encry è un nome di fantasia, non aveva una tradizione, una storia. «Per essere riconosciuti abbiamo dovuto trovare una Maison, una dimora, e questo è stato possibile grazie al nostro vigneron. Solo così siamo potuti partire. E lo abbiamo potuto fare soltanto quando il Civc ha capito che non volevamo portare via niente a nessuno, ma rimanere fedeli allo splendido territorio dello champagne .

Enrico Baldin

Enrico Baldin

L’ingresso sul mercato è avvenuto ufficialmente nel 2010. Da allora le 25mila bottiglie delle quattro cuvée prodotte in media all’anno hanno iniziato a rappresentare uno dei migliori prodotti in commercio. Tutto questo è stato possibile solo grazie al territorio, alla precisa posizione in cui ci troviamo e al sapiente lavoro del vigneron. Abbiamo lavorato per ridurre il dosaggio. Tanto basso che è stato addirittura tolto. «Il nostro intento è stato quello di fare un prodotto il più naturale possibile. Ci piaceva il nostro Champagne al naturale, così come nasceva. E quindi abbiamo realizzato il Dosage Zéro. Certo all’inizio c’erano ritrosie, c’era preoccupazione da parte del nostro vigneron. Ma ci abbiamo creduto, ci ha creduto, raccogliendo una tale soddisfazione, da parte del pubblico italiano e non, oltre le nostre aspettative».

E poi l’impronta italiana, oltre che nei dosaggi, si apprezza nell’immagine, come il packaging che risente proprio dell’imprinting del buon gusto tutto made in Italy. Insomma, si può davvero dire che italians do it better. Anche lo Champagne.

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Il tasting degli Champagne Encry

Blanc de Blancs Grand Cuvée Brut, ancora più straordinario in magnum, per il quale viene praticata prima la selezione di particelle specifiche del vigneto, con una migliore esposizione, e poi la selezione in pianta. Il naso è tostato, quasi croccante, poi all’assaggio dà il massimo, con una bocca pienamente armonica, sensazioni di crosta di pane tostato, fiori bianchi, zagara, e una nota citrina che ritorna floreale.
Dal 2012 Encry esce sul mercato con 4 nuovi prodotti, dei quali il più tenacemente voluto da Enrico, anche contro il parere del suo vigneron, è la Grand Cuvée Zéro Dosage, 100% Chardonnay. “Lo chef de cave non era d’accordo, ha sempre sostenuto che l’aggiunta di liqueur d’expédition impedisce la scomposizione del vino durante il trasporto, gli dà equilibrio”. Non ha torto, ma di certo lo Zéro Dosage si fa quando c’è un prodotto eccezionale. Il naso è intenso, roccioso, sa di grafite, con uno sfondo di agrumi che si ritrovano in bocca più acerbi, citrini, ma mai astringenti. I primi Millesimé a vedere la luce sono il 2004 ed il 2005. Il 2004 si presenta potente e lungimirante, esemplare espressione di quell’annata che sforna Chardonnay di grande qualità e con lunga vita davanti. Se possibile, il Millesimé 2005 ad oggi è più pronto del 2004, addirittura “maturo”, e lo è ancor di più paragonando gli ultimi assaggi a quello dell’anteprima, dal quale non usciva invece perfettamente composto. Ora si rivela con le sue sfumature agrumate e di erbe aromatiche, la sua mineralità gessosa, elegante già al naso, che in bocca conferma il suo equilibrio e la sua finezza. Con il rosé Encry ha voluto sperimentare, iniziando col Grand Rosé Prestige, 95% di Chardonnay e un 5% di Rouge di Bouzy, che è stato voluto per caratterizzare l’identitá della maison, nata con il Blanc de Blancs. Gioca a nascondino appena lo porti al naso. Prima è profumatissimo poi si intimidisce e si richiude, per poi riaprirsi diventando sempre più elegante, con note di frutti rossi e salmastre. All’assaggio è dinamico, ha corpo e persistenza, il frutto polposo del Pinot noir in rosso si sposa con la freschezza e la mineralità dello Chardonnay. Una gran bella beva, piacevole ed invitante.

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Ambrata come un brandy o bianca, in Trentino la grappa è passione

Grappa, alambicchi

Grappa, alambicchi

Bianca, quella giovane, più o meno ambrata, quella invecchiata, dentro ogni sorso si ritrova il calore di un rito che si ripete da decenni e che in ogni gesto della lavorazione nasconde il segreto di chi la produce. La grappa rappresenta il calore e la passione del Trentino. Girare per grapperie è un modo per scoprire una realtà diversa da quella “classica” delle Dolomiti delle piste di sci.

A muoversi alla scoperta di produttori di grappa, quello che colpisce per prima è la passione. La passione che ci mettono nel raccontare come nasce la loro grappa, la passione che mettono nel produrre quella che in Trentino è cultura, storia, tradizione. La cura nella selezione della vinaccia, ancora “calda” di spremitura e ricca di vino, la pazienza dei gesti per dosare il vapore della distillazione a bagnomaria e selezionare la parte migliore del distillato, la scelta dell’acqua migliore, di fonte, priva di impurezze, per portare la grappa alla gradazione desiderata.

 

Vigneti in Trentino

Vigneti in Trentino

L’azienda agricola Pravis di Lasino (Tn) è una piccola realtà sullo sfondo unico delle Dolomiti del Brenta. Produce vino con varietà di viti autoctone, la Nosiola, anzitutto, con il recupero di specie a rischio d’estinzione come il Negrara e il raro vitigno della val di Non, il Gropello di Revò, simbolo di un’archeologia vitivinicola ancora tutta da scoprire. E grazie alla passione di uno dei proprietari, Pravis chiude la “filiera” con la distillazione artigianale “a bagnomaria” delle vinacce, completa il ciclo dell’uva con la più schietta espressione della cultura contadina trentina. Le vinacce appena pigiate e ancora bagnate di vino, vengono velocemente immesse nell’alambicco e attraverso una manualità antica si produce una grappa profumata come il vitigno dal quale arriva la vinaccia.

Ma come Pravis, anche i sei distillatori di S. Massenza di Vezzano (Tn), poche case con la più alta concentrazione di produttori di grappa del Trentino, tra i quali Casimiro di Bernardino Poli, Giovanni Poli, Maxenzia, Francesco Poli. O gli altri soci del Trentino Grappa, l’istituto nato nel 1969 e che oggi conta 29 iscritti. Una passione che accomuna tutti ad iniziare dal presidente Beppe Bertagnolli, anche lui produttore di grappa.

Grappa Trentina

Grappa Trentina

Una buona grappa si aggira sui 27 euro per la bianca, quella appena uscita dalla distillazione, e i 34 euro di una invecchiata, un prodotto morbido, elegante, che non ha niente da invidiare a più raffinati e blasonati distillati. Tra le migliori invecchiate, quella della distilleria Pilzer di Faver, 24 chilometri da Trento.

Per mangiare, Trento rappresenta il punto di partenza non solo perché capoluogo. L’Antica Trattoria Orso Grigio è lo storico ristorante della città famoso per le zuppe, il carrello del bollito servito con la mostarda, peverada e varie salse e il baccalà con polenta di Storo. Con un buon Teroldego della zona non si superano i 35 euro. Sulla strada verso Santa Massenza, il ristorante La Cacciatora di Mezzocorona è specializzato in cacciagione. Prosciutti di cervo e cinghiale con funghetti e pan brioche alla frutta secca, Canderli in brodo e filetto di cervo con salsa al timo e ginepro, terrina di castagne con salsa di uva fraga sono un menù completo che si ferma a 37 euro. La cantina offre una buona scelta, dal Teroldego Rotaliano della Cantina Mezzacorona (12 euro) alla piccola “follia” di un Teroldego Rotaliano “Riserva” 1999 di Endrizzi (380 euro). Sono oltre ottocento, le etichette della cantina del ristorante Da Pino a Grumo – San Michele all’Adige. Fagottino di carne salada con ricotta affumicata e insalatine novelle, il budino di spressa delle Giudicarie con soutè di porcini e il tortino di prugne di Dro con salsa alla grappa di moscato sono tre piatti da non lasciarsi sfuggire. Il menù degustazione tipico trentino costa 30 euro. E per dormire, il relax si trova nelle venti camere dell’albergo Ponciach a Faver, nella Val di Cembra. Trento euro a notte è il prezzo della camera che comprende anche la prima colazione.

Le Ciaspole

Le Ciaspole

Infine, in tipico stile baita, per una pranzo in perfetta tradizione trentina non si può non fare un salto a Tret, alle Ciaspole. Ristorante a conduzione famigliare, ma di grande qualità, ottima accoglienza e ambiente piacevole. Oltre a mangiare è possbile anche pernottare con una splendida vista sulla val di Non.

 

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«Ascolto le viti per sapere quale vino fare»

Ettore Ceschin

Ettore Ceschin

«Voglio far crescere una pianta che dia frutti in grado di produrre grandi vini». Ettore Ceschin è l’uomo che sussurra alle viti, che parla con loro e ne trae messaggi. Che poi traduce in qualità del vino. «Il mio obiettivo è fare vini di grandi qualità e che si possano bere con facilità. Ascoltare le piante, parlare con loro serve proprio per arrivare a questo obiettivo».

Ceschin è titolare dell’azienda Bepin de Eto in Veneto, a San Pietro di Feletto (Tv) paese dove andava in vacanza papa Giovanni XXIII. Ai 90 ettari a Prosecco, Incrocio Manzoni e Rosso di Conegliano, da dieci anni si sono aggiunti 50 ettari di vigneti in provincia di Taranto, a Torresgarrata.

ettore ceschin bepin de eto 03

E il dialogo con le viti è continuato anche in Salento. «Ho parlato con le viti di Aglianico e ho capito che il modo migliore per trattarlo era fare un rosè spumante». Dunque il linguaggio delle piante, se si sa capire, è universale e dà risultati positivi. «Ogni volta che nasce un nuovo vino e mi soddisfa, ce n’è un altro pronto in progetto per continuare nella ricerca. In azienda valorizziamo le varietà autoctone, le proviamo per capire se vadano bene o meno».

Un ragionamento applicato anche alla masseria di San Martino a Torresgarrata. Qui la sfida, da nordista convinto, è che si possano fare ottimi vini anche al Sud. «C’è ancora molto da insegnare loro, ma è una bella terra. Si deve insegnare a lavorare in cantina, ma soprattutto in vigna. Non basta fare quantità, c’è da battersi per la qualità». Raccogliere l’uva al punto giusto, sana, buttare via i grappoli difettati, sono le basi che Ceschin cerca di insegnare per produrre vini di qualità. E poi c’è il lavoro da fare in cantina. «Da noi si inizia a vendemmiare alle 6 di mattina, poi l’uva la mettiamo in cassette da 18 chilogrammi e dentro container frigo giunge, in 14 ore, in Veneto. Arriva al punto giusto, refrigerata a 10° C e pronta per essere spremuta e vinificata». Un procedimento che non incide sulla qualità finale, ma ha un peso in termini di costi. «Stiamo pensando di realizzare una cantina di vinificazione in Puglia, si abbatterebbero i costi di trasferimento».

ettore ceschin bepin de eto 02Da quarant’anni Ettore Ceschin porta avanti l’azienda nata con il bisnonno, Giuseppe del Nicoletto da cui Bepin de Eto, ed è adesso aiutato dalle tre figlie, Giuseppina, Cristina e Silvia. Ogni anno vengono prodotte 900mila bottiglie per un fatturato di 4,8 milioni di euro con un 30% di esportazione in tutta Europa più Brasile e Giappone. mentre il restante 70% va tutto nel Nord Italia.

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Marsala, adesso è colore dell’anno 2015

Marsala, Pantone Color of the Year

Marsala, Pantone Color of the Year

Un vino che diventa colore, che diventa moda per il 2015. Per Pantone Color Institute, Marsala è anche il colore del prossimo anno. Caldo, passionale, corposo, elegante, sanguigno, come la terra di Sicilia dove il vino nasce, succede a Radiant Orchid il colore che ha dettato legge nel 2014. «Mentre Pantone 18-3224 Radiant Orchid, è stato un colore accattivante, ha incoraggiato la creatività e l’innovazione, Marsala arricchisce la nostra mente, corpo e anima, trasuda fiducia e la stabilità», dice Leatrice Eiseman, direttore esecutivo del Pantone Color Institute ®. «Proprio come il vino liquoroso Marsala dà il nome, questa tonalità di gusto incarna la ricchezza di un pasto, emana il legame con la terra dove affonda le radici». la Fondazione Pantone assicura che il colore Marsala è attraente per gli uomini e le donne. «Marsala è una tonalità sottilmente seducente, quella che ci attira per il suo calore avvolgente».

Marsala, città e vino

Nel 2013 Marsala, città, era stata dichiarata Città europea del Vino iniziativa che per tutto l’anno ha avuto protagonisti i vini bianchi, Grillo e Catarratto, i rossi, Perricone e Calabrese (Nero d’Avola) oltre ovviamente al celebre Marsala. Tutti insieme per esaltare l’identità di questa terra fatta di paesaggi come le isole Egadi (Favignana, Marettimo e Levanzo), le saline di Mothia con i suggestivi mulino a vento e fenicotteri rosa dello Stagnone, o le vigne che degradano verso il mare.

Una terra fatta di una ospitalità che nasce dal cuore degli abitanti e che si coniuga in mille declinazioni, prima tra tutte la gastronomia. Sono davvero infinite le emozioni che suscita un viaggio in questo versante occidentale della Sicilia, approdo di tante civiltà.

 

Il vino Marsala

“Inventato” sulla fine del Settecento dagli inglesi, il Marsala è un vino fortificato alla cui base c’è il perpetuum. Ovvero un vino prodotto attraverso un antichissimo metodo che vede l’usanza di rabboccare le botti in via di svuotamento con quello della nuova annata. Il vino veniva abitualmente invecchiato in grandi botti di legno e quindi consumato durante l’anno per poi essere sostituito da vino giovane alla vendemmia successiva. L’operazione si ripeteva per anni, “in perpetuo”. Questo era il vino da pasto di 18 gradi naturali che si beveva a Marsala, questo è il vino che gli inglesi hanno trovato e al quale aggiunsero alcool per meglio conservarlo durante le spedizioni via nave nelle lontane Indie. Oggi il Marsala Doc è un vino liquoroso. Durante la fermentazione si effettuano i travasi che favoriscono l’ossidazione del vino. Alla fine della fermentazione viene aggiunto alcol di origine vitivinicola o acquavite di vino per aumentarne il grado alcolico.

Abbinamenti

Da sfatare un luogo comune, il Marsala Doc non è un vino soltanto da dolce. Il Marsala è un vino. E come tale può essere abbinato agli antipasti, con il sushi, formaggi a pasta molle o dura. Insomma gli abbinamenti possono essere molti e tutti da scoprire.

In giro per cantine

Cantine Pellegrino Una delle aziende storica della città di Marsala ha oggi nella propria gamma anche vini dolci e il Passito di Pantelleria dove l’azienda possiede una cantina.

Interno delle Cantine Florio

Interno delle Cantine Florio

Cantine Florio Nelle storiche cantine, oggi di proprietà Ilva di Saronno, si respirano secoli di storia, anche quella italiana con il ricordo dello sbarco dei Mille e del passaggio di Giuseppe Garibaldi, e di tradizione.

Donnafugata E’ l’emblema quella Sicilia fatta di culture, architetture e tradizioni di secoli. Rappresenta perfettamente le terre del Gattopardo, i dintorni di Marsala e i paesaggi di Pantelleria dove nasce il celebrato Ben Rye.

baglio oro

Baglio Oro

Baglio Oro Piccola produzione per grandi vini. La tradizione lunga oltre un secolo delle famiglie Cottone e Laudicina si coniuga all’interno di un antico baglio, “U vecchio Bagghio” con la più moderna tecnologia produttiva.

Baglio Donna Franca. I vini sono tutti quanti prodotti per i clienti dell’agriturismo. Imperdibile l’esperienza sensoriale che si prova a sorseggiare il loro perpetuum.

debartoliDe Bartoli. Il “vero” Marsala, quello della tradizione, di prima degli inglesi, si può ancora provare nel Vecchio Samperi, un perpetuum che racconta tutta la storia della famiglia De Bartoli. Per scelta iniziata da Marco De Bartoli e proseguita adesso dai figli Renato, Sebastiano e Giuseppina, l’azienda produce una sola Marsala Doc, la Superiore, e un Passito di Pantelleria, il Bukkuram.

 

Da vedere

Baglio Anselmi. È il maggior museo marsalese, per importanza e numero di reperti. Baglio Fino al secolo scorso era uno stabilimento vinicolo, oggi è parte del Parco Archeologico di Lilibeo con la Venere Callipigia e i resti di una nave Punica.

Museo degli arazzi fiamminghi. Otto magnifici arazzi fiamminghi del XVI secolo che raffigurano la guerra giudaica.

 

Dove mangiare

Enoteca comunale Situata all’interno del Palazzo Fici, l’Enoteca ricopre un ruolo fondamentale nella promozione del vino locale.

La Bottega del Carmine La cucina tradizionale siciliana si sposa con i vini pregiati.

Le Lumie Eleganza e raffinatezza si incontrano in questo locale posto su una collina da dove si dominano le saline e le isole Egadi e dove al tempo stesso si respira il profumo della campagna.

Dove dormire

Hotel Carmine Poche camere nel centro storico di Marsala, ricavato nell’antico convento del Carmine.

 

Mothia, tramonto sullo Stagnone e le saline

Mothia, tramonto sullo Stagnone e le saline

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